La bossanova e il bresciano. Contro ogni aspettativa l’incontro è tutt’altro che uno scontro. Ci guadagnano entrambi: in accessibilità la prima, in naturalezza e sentimento il secondo. Splendida l’intesa artistica tra Anna Maria e Paolo.

 Il Vate aveva torto. Torto marcio. A meno che gli si riconosca la scusante di aver incontrato il Bresciano in un periodo in cui si costruiva inseguendo modi e suoni lontanissimi da quelli a cui siamo abituati ora. Ma procediamo con ordine. Dante nel “De vulgari eloquentia” bollò il dialetto della nostra provincia come “yrsutum et yspidum” di “vocaboli e di accenti che per la sua rude asprezza non solo fa uscire dai limiti donna che parli, ma saresti in dubbio, o lettore, se sia un uomo” (lingua quindi dalle virtù trasgender, avrebbe scritto oggi) e conclude con un lapidario “quod quidem barbarissimum reprobamus”. L’esatto opposto del portoghese (sia pure nella sua analoga virtù evocativa di ambigue situazioni di genere), lingua tonda, capace come l’acqua di avvolgere e scivolare. Paolo Milzani dimostra che invece è solo questione di competenza e di poesia. Bisogna avere la capacità di scegliere le parole, appoggiarle con l’attenzione di un ebanista sulle strutture musicali e fare in modo che combacino. Per completare l’opera è poi possibile stendere una mano di vernice avvolgente, ricorrendo magari ad una voce e ad una presenza come quella di Anna Maria Di Lena, femminile nell’essenza, oltre che nella forma.

Il primo ascolto del nuovo lavoro di Paolo Milzani colpisce proprio per l’estrema naturalezza con cui il bresciano, che è bresciano vero, si posa sui classici della musica brasiliana. Nessuna forzatura, al punto che per i distratti potrebbe benissimo trattarsi di portoghese. Chi si sofferma più attentamente all’ascolto si rende poi conto che la magia del primo impatto nasconde un ‘sommerso’ altrettanto sorprendente: i testi non sono un’accozzaglia di parole selezionate in funzione delle sole sonorità. Dentro le canzoni ci sono storie, ricordi, cose da dire e raccontare, a volte divertite, a volte profonde, sempre mature ed equilibrate, ed è questa un ulteriore valore da apprezzare nel lavoro di Anna Maria e Paolo. Dopo anni di canzoni in bresciano costruite per far ridere, affrontate con l’imbarazzo del bambino che dice la parolaccia o dell’adolescente che fa il volgare per provocare, finalmente un disco d’autore in cui il dialetto nostrano è nobilitato al ruolo di lingua, si usa per comunicare spontaneo, il sentire di oggi, rivolgendosi a gente che vive adesso.

Certo: quella che ascoltiamo è musica che potrebbe non riempire le piazze delle feste delle pro loco e sposarsi male con la sagra della vacca. Ma era ora che il matrimonio tra il dialetto e il folk country fosse tradito, perché è la musica a chiederlo, perché lo chiede cultura bresciana che non vive circoscritta fra le mura dell’aia. E sia chiaro: con ciò non si negano le tradizioni. Al contrario si valorizzano quelle radici trascurate, meno spendibili ma capaci ancora di portare la linfa di un sentire bresciano maturo.

La musica? Calda, avvolgente, professionale, malinconica, sognante, equilibrata, matura: che si può volere di più?

 

Anna Maria Di Lena – Paolo Milzani “Bressanova” (CD 2016)

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Paolo Milzani

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Anna Maria di Lena

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