DIEGO DRAMA – Luce e demoni (CD, 2017)

DIEGO DRAMA – Luce e demoni (CD, 2017)

C’è cultura qui dentro. Ma non quella cultura aulica e arida che spesso e volentieri si respira nelle nostre scuole, c’è una cultura semplice e intelligente che si ottiene dalla curiosità, dalla voglia di imparare dai veri maestri e dal volere sempre approfondire gli argomenti e gli avvenimenti.

 

Probabilmente vivere in un paesino di duecento anime ti permette di prenderla in modo più riflessivo, di filtrare meglio quello che ti arriva dai media e di capire quelle che sono le cose migliori senza condizionamenti di sorta.

Diego è così, basta anche solo fare quattro chiacchiere con lui per rendersene conto. Un pozzo di sapienza e di amore per l’arte e per la bellezza in musica.

I suoi testi raccontano di una persona dalla grande maturità, che non si ferma alle apparenze, ma che scava nel profondo dell’anima, e questo colpisce molto, vista la sua assai giovane età.

C’è spessore in Diego, sia che ti parli di amici che non ci sono più, come in “Ti rivedrò tornare”, sia che renda omaggio ai grandi Cantautori (rigorosamente la “C” maiuscola!) come il Fabrizio De Andrè di “Genova o il Francesco De Gregori di “Giorno di pioggia”, oppure che parli di grandi tragedie che hanno segnato la nostra storia recente. “Un sasso in un bicchiere” ci racconta di come la storia d’Italia sia spesso costellata di disgrazie che troppo spesso vengono classificate come “imprevedibili” piuttosto che verificarne le responsabilità.

Qualcuno lo definisce “rap”, in realtà è molto di più. Diego ha uno stile anche cantautorale, ma con estrema originalità e con melodie che si insinuano nell’orecchio in modo assai piacevole.

Di un talento così ci si può fidare.

DIEGO DRAMA – Luce e demoni (CD, 2017)

DIEGO DRAMA – Luce e demoni (CD, 2017) (2)

C’è cultura qui dentro. Ma non quella cultura aulica e arida che spesso e volentieri si respira nelle nostre scuole, c’è una cultura semplice e intelligente che si ottiene dalla curiosità, dalla voglia di imparare dai veri maestri e dal volere sempre approfondire gli argomenti e gli avvenimenti.

 

Probabilmente vivere in un paesino di duecento anime ti permette di prenderla in modo più riflessivo, di filtrare meglio quello che ti arriva dai media e di capire quelle che sono le cose migliori senza condizionamenti di sorta.

Diego è così, basta anche solo fare quattro chiacchiere con lui per rendersene conto. Un pozzo di sapienza e di amore per l’arte e per la bellezza in musica.

I suoi testi raccontano di una persona dalla grande maturità, che non si ferma alle apparenze, ma che scava nel profondo dell’anima, e questo colpisce molto, vista la sua assai giovane età.

C’è spessore in Diego, sia che ti parli di amici che non ci sono più, come in “Ti rivedrò tornare”, sia che renda omaggio ai grandi Cantautori (rigorosamente la “C” maiuscola!) come il Fabrizio De Andrè di “Genova o il Francesco De Gregori di “Giorno di pioggia”, oppure che parli di grandi tragedie che hanno segnato la nostra storia recente. “Un sasso in un bicchiere” ci racconta di come la storia d’Italia sia spesso costellata di disgrazie che troppo spesso vengono classificate come “imprevedibili” piuttosto che verificarne le responsabilità.

Qualcuno lo definisce “rap”, in realtà è molto di più. Diego ha uno stile anche cantautorale, ma con estrema originalità e con melodie che si insinuano nell’orecchio in modo assai piacevole.

Di un talento così ci si può fidare.

BARTOLINO’S – Intervista maggio 2017

BARTOLINO’S – Intervista maggio 2017

Divertente intervista realizzata a tre (anzi, a quattro, la Pita è la protagonista) sul nuovo disco dei Bartolino’s “I sigari fanno male”.

 

 

CESARE: Ho qui con me due personaggi strani, che ci racconteranno “I sigari fanno male” dei Bartolino’s.

ALESSANDRO: Possiamo dire le parolacce, Cece?

WLADIMIR: La Pita può abbaiare?

ALESSANDRO: C’è anche la Pita, devi dire due più la Pita.

CESARE: C’è anche la Pita a raccontarci questa carrellata di canzoncine dolci appena uscite, canzoncine che piacciono alle donne e che divertono…

A.: Sono spassosissime, sono canzoni burlone.

W.: Perché le donne non le vedo mai ai concerti?

A.: Ma no, non è quello il fatto, è che al di là di tutto sono canzoni che conciliano all’amore. Oltre alle femmine, ci sono anche i maschi che hanno questioni d’amore addosso, quindi è un disco che serve a tutti per ricordare che l’amore non serve a niente. Chi ha dei dubbi venisse a vedere i nostri concerti, così risolve il problema dell’amore, che fondamentalmente, se tu lo analizzi, è solo un problema. Per quei due minuti in cui ti fa battere il cuore in senso positivo, per il resto ti batte il cuore in senso negativo.

C.: Ed è un disco che previene anche la tristezza…

A.: Sì, assolutamente. Perché stare senza amore non vuole mica dire stare tristi. E’ lì che vogliamo proprio puntare il “focus” come direbbero i “fotografus”. Cioè vogliamo puntare il fatto che senza amore si sta meglio.

C.: Per chi non lo avesse ancora capito, sto parlando con Alessandro Ducoli.

A.: Sono venuto qui accompagnato dal cane, (Pepita, detta Pita) e da Wladimir, anche lui accompagnato a sua volta dalla Pepita…

C.: Per chi non lo sapesse, Wladimir Zaleski è il regista dei video del disco.

W.: Un paio, sì. Del documentario, anche…

A.: Del documentario che non uscirà mai perché è censurato.

W.: Sì, troppe parolacce.

C.: “I sigari fanno male”. Sembrerebbe, in realtà, che i sigari così tanto male non facciano…

A.: I sigari fanno malissimo, però è il concetto, la filosofia dei sigari che noi volevamo mettere in discussione. Quindi è chiaro il messaggio.

C.: Tanto è vero che c’è anche una custodia particolare, una “Special DeLuxe Edition”…

A.: C’è chi si ammazza di sigari e c’è chi si ammazza di contapassi e Danacol sulla pista ciclabile con le tutine attillate della Decathlon. Non lo so quale è la soluzione migliore, perché poi ognuno la vede a modo suo.

W.: C’è anche chi spende i soldi nei tavoli finto-sporchi, finto-antichi…

A.: Si fanno l’anticato. Calcola che noi, per fare questo servizio fotografico del libretto, ci hanno anticati. Ci hanno messo una cartavetro in faccia per renderci più anziani e più brutti. Non è stato un grandissimo lavoro, perché alla fine andavano bene già dall’inizio, però sai come sono i fotografi, vogliono sempre creare quello che non c’è, quindi noi sembriamo degli attori americani a fine carriera.

C.: E tra l’altro vedo che la Pita è protagonista assoluta, c’è diverse volte anche nel booklet.

A.: Lascio parlare il polacco.

W.: Devo dire una cosa, siccome prima di venire qui stavamo finendo di montare il video che è uscito in questi giorni, riflettevo su una cosa, cioè che il Ducoli dice tanto, “io sono l’indipendente”, “io non ho padroni”, però tu quando fai un contratto col Ducoli per fare un video, anche a te ti lascia libertà, però c’è una clausolina sotto, cioè che la Pepita deve comparire sempre, sempre, sempre! E’ lei la protagonista, non è lui. E lui subisce questa cosa, lui è schiavo della Pepita, diciamo la verità.

A.: La Pita è l’ago della bilancia.

W.: Per cui tu monti tutto il video, lo riporti al Ducoli montato, gli dici “Guarda che lavoro che ho fatto!” “sé, sé, ma la Pepita? Un po’ più di Pepita?” E tu devi pensare a rimontare tutto, rifare per metterci la Pepita… Lui non ha tutti i torti quando dice che il cane attira le ragazze, è vero.

A.:  Ecco il bieco motivo per cui metto la Pita nelle mie cose, è perché è la mia figura così grossolana e goffa viene bilanciata da una fata che si muove su quattro zampe scodinzolando.

W.: E’ un po’ tua moglie, secondo me, comanda lei.

A.: E’ la mia musa. Questo muso è la mia musa.

C.: Diamo un po’ anche il merito a chi ha suonato in questo disco.

A.: Questo album è a firma Bartolino’s e non Ducoli proprio perché comunque io ho bisogno ogni tanto di Mario Stivala. Con Mario Stivala io ho scritto un sacco di cose, il fulcro, la parte più corposa è nel periodo “Brumantica” e “Artemisia Absynthium”, perché Mario, obbiettivamente, è un musicista superlativo e quindi riesce a scrivere delle melodie e delle armonie che io sono incapace di scrivere. Per cui con Mario ci sentiamo, adesso dopo questo disco le cose si sono consolidate molto di più, perché la band è stata ufficializzata, quindi l’idea è quella di proseguire in maniera un po’ più continuata. Con il progetto “Bartolino’s” stiamo già lavorando a qualche canzoncina nuova. Mi sono divertito molto perché è un album che con Mario è stato immaginato e scritto tre anni fa, poi dopo un po’ di vicissitudini, abbiamo pensato di realizzarlo lo scorso anno e abbiamo iniziato col pensiero che solo Arki Buelli, batterista con cui avevamo lavorato nel periodo della Banda del Ducoli, fosse in grado di suonare questi ritmi qua, perché è un disco pieno di ritmi e di colori. E Arki suona la batteria non tanto con un approccio esclusivamente ritmico, ma anche sonoro, quindi eravamo d’accordo su Arki, poi per forza di cose il Saviola è cascato d’ufficio, perché con Arki e con Saviola avevamo messo in piedi la Banda del Ducoli, poi Angelico alla fisarmonica, che comunque dal vivo suona il basso, poi abbiamo chiamato un paio di ospiti, abbiamo chiamato un organista, Luca Rossi, un bravissimo musicista che vive a Brescia, poi abbiamo chiamato Alessandro Galati al pianoforte, pianista arrangiatore di “Brumantica”, a cui abbiamo chiesto di fare un paio di suite. Mario, oltre alla chitarra, ha suonato il “Roots Fender” devo dire con un piglio assolutamente professionale anche in quel caso lì. E’ un disco fatto per una band. E’ stato provato un paio di volte in studio con Arki e con Saviola che hanno aggiunto dei ritmi, abbiamo valutato dove valorizzare la fisarmonica di Angelico, dove invece lasciare più spazio ai pianoforti e all’organo, e poi lo abbiamo registrato in un paio di giorni. C’è anche un sentore “live” in questo album, che secondo me lo rende molto diretto.

C.: C’è anche da dire che ogni canzone ha in sé un messaggio ben preciso.

A.: Io sostengo da molti anni, ormai, che c’è in giro un sacco di gente che non ha un cazzo da dire e non sta mai zitta. Questo potrebbe essere anche il mio caso, però io ritengo di essere abbastanza sordo da non ascoltare quello che dico, quindi proseguo nella scrittura e vengono fuori brani come “Prunella Modularis”, che è una canzone di protesta contro un certo atteggiamento che c’è in alcune famiglie “bene”, soprattutto della Val Camonica, e la Prunella Modularis, che nelle cronache scientifiche è appunto un passeriforme che porta il nome scientifico “Prunella Modularis”, è la passera scopaiola.

C.: Sul booklet hai anche scritto le date delle stesure dei testi, che risalgono più o meno al 2013.

A.: E’ una cosa che a me piace sempre fare, cioè mettere la data in cui più o meno il telaio lirico è stato scritto. Il giorno in cui è stato scritto il grosso della canzone lo metto sempre. Sono di quel periodo lì perché, a tre anni da “Piccoli animaletti”, dopo aver lavorato a “Sandropiteco” e al disco dei Lupita’s, sentivo la necessità di chiedere a Mario se avesse ancora qualche canzoncina da mettere su disco. Lui mi ha mandato un blocco di venti brani, io ci ho lavorato per un paio di mesi. Sono stati più o meno due periodi, più o meno a cavallo tra gennaio e febbraio 2013 e l’estate successiva.

C.: Cosa diciamo di “Piccoli furti estivi”?

A.: Mi piaceva pensare a quando si va in vacanza, ci si dimentica di passare al supermercato, non hai la cipolla o il rosmarino per soffriggere nulla, e allora vai nei cortiletti a rubare ‘ste cose.

C.: Oppure quando vai al Bancomat a fare un prelievo e ti dimentichi di ritirare il tesserino.

A.: Cece, tu hai dimenticato il cervello l’ultima volta che ti hanno fatto l’elettroencefalogramma in ospedale. Sono passati otto anni, non lo hai ancora ritirato, quindi figurati se il Bancomat è un problema. Pensa a quello del polacco…

C.: Perché, è successo anche a te?

W.: Io sempre dimentico le cose, poi il Ducoli mi deve comprare le sigarette. Visto che non mi paga, mi compra le sigarette.

A.: Non ti pagherò mai.

C: Questo è il primo album dei Bartolino’s, perche negli anni, pur essendo una band che ha un’attività ventennale, avevano registrato alcuni pezzi solo su quella storica antologia dedicata al Public House che si chiamava “Staca la spina”.

A.: Esatto, difatti ho iniziato in quel periodo l’avventura dei Bartolino’s, avevamo come contrabbassista Giorgio Premoli, che è un dottore che lavorava all’ospedale di Esine, e noi eravamo convinti che fosse un ginecologo. Siccome lo vedevamo un po’ come un totem, figurati io che mi occupo di foreste che brutta vita che posso fare in confronto a un ginecologo, abbiamo deciso di chiamarci Bartolino’s perché Bartolin è uno famoso nella scienza medica che nei primi del ‘900 scoprì delle cose, poi abbiamo scoperto dopo tre mesi che facevamo concerti, che lui era un ortopedico. Però alla fine non ce la sentivamo più di sputtanare tanta gioia, e quindi abbiamo iniziato lì. Poi con Mario ho comunque fatto delle cose su “Malaspina” e su “Anche io non posso entrare”, poi di fatto “Brumantica” non è uscito come Bartolino’s perché avevamo avuto l’opportunità di lavorare con Tavolazzi e con Bandini e quindi abbiamo un po’ trascurato l’aspetto Bartolino’s, ma “Artemisia” era giù uscito come Bartolino’s però ci siamo trovati poco, “Piccoli animaletti” ancora peggio, perché Mario lavorava a Cremona quindi era difficile riuscire a conciliare i live con tutto il resto, e alla fine dopo “Piccoli animaletti” abbiamo pensato di iniziare questa nuova avventura come Bartolino’s e come rinascita sono molto soddisfatto.

C: “I sigari fanno male”, un disco che fa bene alla vita, provoca potenza. Ascoltatelo senza prudenza e piace a chi vi sta vicino.

A.: Sì,sì. Nel booklet abbiamo giocato con le frasi che ci sono sui pacchetti di sigarette, che sono le frasi più inutili della storia perché hanno la stessa efficacia che può avere una scoreggia durante un temporale. Però abbiamo pensato di fare questa cosa per essere più simpatici. L’analisi parte dal fatto che da quando non si fuma più nei bar, anche se mi rendo conto anch’io che era brutto arrivare a casa con la giacca che puzzava di fumo, però da quando non si fuma più nei bar l’Italia è brutta. Perché la gente si trova di fuori col pirlo in mano, in piedi a parlare, ma i discorsi passano, sono come i passanti, e quindi non resta niente, mentre prima si discuteva al tavolo, chi fumava riusciva a conciliare anche il pensiero con la nicotina, ed era più interessante la faccenda, quindi secondo me dal punto di vista sociale bisognerebbe tornare a fumare nei bar. Perché il paese migliora. E’ una mia idea, lo so che può sembrare una puttanata. Dal punto di vista ecologico, penso che il tabacco sia uno dei criminali della storia, perché il tabacco ha dato il motore al colonialismo. Lo schiavismo non è stato per far coltivare il cotone, è stato per far coltivare il tabacco. E’ anche per questo che io non butto via neanche una fogliolina di tabacco, perché lo spreco di quel tabacco mi sembra un insulto a chi ha versato sangue perché si potesse coltivare quel tabacco lì. Poi dal punto di vista ecologico, non è che le sigarette ti fanno il buco nell’ozono. Le coltivazioni sì, ma peggio dell’olio di palma e dell’olio di cozza non c’è niente. Wlad, cosa ne pensi? Si coltiva il tabacco in Polonia? C’è il Kentucky Beneventano in Polonia?

W.: Non credo. Ci sono dei grandi boschi in Polonia.

“A.: Eh, sì, meravigliosi. Ove abbiamo girato “Perduta”. Le betulle del nord.

W.: Ma io sul tabacco la penso come te. Penso che andrebbe anche fatto fumare in casa, alle cene.

A.: Sì, ecco. C’è questa roba terrificante che abbiamo voluto denunciare nel video, che ti invitano a cena, sanno che sei un fumatore, però non puoi fumare. Quindi il messaggio che abbiamo voluto dare è: NON INVITATECI PIU’ A CENA SE NON SI PUO’ FUMARE A TAVOLA! Sul balcone e fuori sul pianerottolo non ci vado a fumare.

W.: Tanto non si salverà nessuno comunque, quindi è inutile questa ricerca di perfezione, di purezza, di no-odori, comunque siamo destinati male.

C.: Tanto più che sul booklet, in una delle foto interne, c’è Jack Nicholson, che appunto fuma.

A.: Io parto dal presupposto che c’è un bellissimo resoconto di Bruno Pizzul che racconta di quando con Sandro Ciotti e Beppe Viola si trovavano in redazione al Corriere della Sera per scrivere gli editoriali del Mondiale dell’82, immagino cosa ha combinato Beppe Viola in quegli anni lì, che tra l’altro è morto per un ictus, fumava quattro pacchetti di sigarette al giorno, ha scritto, a parte “Romanzo popolare” che è uno dei film più belli della storia d’Italia, con Jannacci tre capitoli musicali straordinari. Ma per quello, cioè il fumo, di fatto, è un catalizzatore di pensiero. Per come la vedo io, poi certo, c’è chi usa il Danacol, oppure con delle tisane allo zenzero si concilia benissimo il pensiero anche con quello. Poi c’è la tisana al finocchio, che è depurativa.

W.: Il whisky, per esempio.

A.: Sì, però il whisky te lo distrugge il pensiero, dopo un po’. Se diventi schiavo delle necessità, col whisky non pensi più niente, pensi solo a dormire. Poi certo, whisky e tabacco insieme all’inizio il pensiero viaggia…

C.: C’è una canzone che si chiama “Stella di fiume”.

A.: E’ la Pepita. Sai che ci sono quelli che ti ravanano sempre con il maaare… ma come bello il maaare… è chiaro che è bello, è talmente bello che non serve nemmeno che se ne parli. Per cui volevo portare il concetto “Stella di mare” in Camunia, sul fiume Oglio, “Stella di fiume”. E’ ispirata a quelle ragazze che portano i cani a afre il bagno nel fiume. Mi piacciono, perché i cani poi sono molto felici quando si lanciano in acqua.

C.: E’ la cosa più bella del mondo vedere un cane che fa il bagno nel fiume…

A.: Anche la ragazza coperta di fango e acqua con questo cane felice. Quindi il concetto era quello, non so se ci sono riuscito.

C.: “Quante passerine” è un po’ jannaccesca.

A.: Sì, è un omaggio voluto, col cuore in mano, alla scuola milanese e al teatro-canzone, quello più scanzonato di quegli anni lì, di Jannacci, di Cochi e Renato, un periodo in cui la canzone popolare aveva un significato puro. Non come oggi che ci sono questi qui che fanno il verso a quelle facce lì, però con delle facce assolutamente moderne. Per cui Mario arrivò con questo giro finger-picking, quasi un country-blues molto giocoso, su cui mi sono divertito a raccontare questo risveglio alle Balote, la discarica di Breno, che alla domenica mattina tra il rumore della superstrada, il rumore della statale, tutta la schifezza che ci hanno tirato addosso, è mitigata da questi passerotti che cinguettano meravigliosamente e coprono i rumori, quindi mi piaceva pensare a queste passerine, ma anche era molto dolce e assolutamente priva di significato morboso associare questi passerotti alle bambine che saltano giocose e felici alla domenica mattina. Era bello stare lì ad osservarle e trasformare il tutto in una sorta di pollaio antico. Il senso della canzone è questo. Poi ci abbiamo messo dentro anche gli animali e tutte queste cose, è un brano scanzonato, insomma. Piace molto anche a me, non so se è il mio preferito del disco, però devo dire che è un brano che quando l’abbiamo concluso eravamo tutti molto felici e allegri, insomma. Un omaggio all’innocenza.

W.: Sul booklet c’è questa foto di Paul Newman. Assomiglia maledettamente a quel gran ciarlatano, nonché potenzialmente grande attore e amico Ivan Bernardi. Ivan, se ci senti fatti sentire che dobbiamo fare un film insieme, ho trovato una gnara a Brescia che sembra…

A.: Ivan Manolesta!

W.: Ivan Manolesta Bernardi, che non si fa mai sentire oppure ti chiama e poi non c’è, ecco, Ivan sentiamoci, scriviamo un bel film, poi andiamo a Cannes, a Los Angeles…

A.: Ma anche Bernardi, come passerine, è un plurale…

W.: E’ vero… questa non è censurabile… quando c’era la censura c’era più creatività! Noi vogliamo essere censurati!

A.: Sul fatto che Ivan Bernardi sia un ciarlatano, sottoscrivo anch’io. Però è interista. Ah no, allora è un santo! E’ un esempio per tutti!

W.: Mamma mia, che brutte robe… Ma andate voi in Europa League… Andate voi avanti…

A.: Sono tra due milanisti… Avete mai mischiato il nero e il rosso con le tempere? Provate! Provate a vedere cosa succede!

C.: Bisogna raccontare alla gente anche come si può trovare questo disco e dove si può trovare la scatola con il sigaro!

A.: E’ stato un suicidio finanziario, oltre che mentale e fisico, perché Angelico, falegname di fine manifattura, mentre scherzavamo sul fatto che sarebbe stato bello avere una confezione di sigari, stavamo già pensando a quanti sigari comprare per svuotare le scatole e metterci dentro il disco, e lui ha detto “ma no, le faccio io”, per cui, in compagnia del suo vècio, si è messo a costruire queste scatole in betulla certificata, su cui abbiamo applicato il timbro a fuoco dei Bartolino’s…

W.: Non è antiecologico?

A.: No, non è antiecologico, perché io setsso che mi occupo di queste cose, ho seguito e tracciato passo per passo il destino di quel legname lì, dal giorno in cui è stato tagliato fino al giorno in cui è stato segato. Quindi abbiamo fatto un gesto importante, insomma. E abbiamo costruito questa confezione col timbro a fuoco bellissimo, ed è una finta scatola di sigari. Eravamo sul dibattito “ci mettiamo dentro anche il sigaro?” però, al di là del costo che sarebbe lievitato non poco, perché non puoi mettere un sigaro di seconda scelta giusto per risparmiare, però abbiamo detto “se mettiamo il sigaro e la gente non lo fuma, si sprecherebbero quelle foglie di tabacco su cui è stato versato del sangue”, quindi le abbiamo lasciate senza sigaro. La confezione normale, invece, è disponibile al Discostory. Solo al Discostory, mi sono stati sequestrati tutti i dischi per impedire che li regalassi! Mi hanno lasciato giusto quelli che dovevo spedire ai giornalisti perché così ho dovuto pagare io anche il francobollo e le fotocopie della cartella stampa. Quindi la notizia, dolorosa per molti o per pochi, non lo so, è che stavolta non potrò regalare i dischi. Ce li ha tutti Angelico.

C.: Quindi chi vuole comprare il disco deve andare al Discostory di Darfo.

A.: Certo, al Discostory c’è la Lina, si vendono anche altri titoli, non è mica necessario comprare il mio disco, magari uno lì trova in offerta anche i dischi usati, trova anche dei titoli più interessanti dei miei, io ho comprato il primo disco dei Byrds la settimana scorsa, che è sempre un bell’ascoltare, l’ho pagato 5 euro, e tra l’altro al Discostory faremo lo showcase il 20. E’ una roba dove ti trovi, devi portare il prosecco, le patatine e le olive. Ti trovi lì verso le cinque, c’è uno che racconta “che bravi che sono stati questi qua che hanno portato il prosecco che costa di più e le patatine più leggere che ci siano e che adesso ci suoneranno due canzoni, ma due proprio così perché se rompono le balle vediamo di smettere alla prima” e poi si parlerà del disco eccetera. Si presenta il disco, se qualcuno vuol fare delle domande scabrose sui secondi significati che abbiamo taciuto stasera lo può fare.

C.: Ma non c’è anche un discorso di vendita per Internet, tramite i siti?

A.: Stiamo valutando un po’ di cose, probabilmente ci sarà la distribuzione I.R.D. e quindi si troverà in tutti i negozi. Però è chiaro che il volume di vendita di un disco come il nostro può essere di 3-400 copie. Per adesso al Discostory, se poi qualcuno lo vuole manda una mail al sito e gli vinee spedito a casa senza problemi, nel senso che la distribuzione I.R.D. la stiamo valutando perché ci hanno offerto una opportunità manageriale e stiamo cercando di capire se è sostenibile o meno, perché sai, sono tutti meravigliosi quando ti offrono un’opportunità però dipende da cosa costa a te, perché dobbiamo capire di quale entità, nel senso che gli altri hanno tutti famiglia, io alla Pepita le prendo cibo per cani che costa più della pastasciutta che mangio io, e quindi io ho un cane da mantenere. Però il disco è disponibile, insomma. Chiamatemi, se riesco a rubare una scatola a Angelico, io li regalo.

RAMUS – Il ritardo perfetto

RAMUS – Il ritardo perfetto

Christian Ramus, da Edolo, suona da sempre, ha avuto esperienze con tanti gruppi della zona e ha deciso di fare un “sunto” della sua carriera musicale con un CD intitolato “Il ritardo perfetto”, che lui definisce un insieme di tutti i generi che lo hanno influenzato nel corso della sua vita.

 

Le canzoni sono state scritte nel corso degli anni, e ogni pezzo prende spunto dal genere ascoltato da lui in quel periodo. Ce n’è per vari gusti, dal grunge all’indie rock italiano al cantautorato più classico (Christian ha militato anche, assieme a Davide Armanini, nell’Orso Acustico, una formazione che proponeva anche i pezzi dei grandi cantautori italiani).

Il disco è stato registrato e prodotto da Marco Giuradei e vede , oltre a Christian, Marco Giuradei al basso, piano e synth , Massimiliano Angeloni alla batteria, il già citato Davide Armanini alle chitarre, e Giulia Mabellini al violino.

Tra le canzoni da segnalare ci trovo in primis “Hai scelto me”, dedicata ad un amico comune (anche mio) scomparso qualche anno fa in circostanze tragiche, l’iniziale “Polvere” e “Colpito”, ma devo dire che tutto il disco è bello. Forse l’unico pezzo trascurabile (ma solo perché poco risolto, secondo me), è uno skit di 42 secondi intitolato “Non mi dedico”.

Probabile una intervista fra qualche settimana qui a Radio Voce Camuna.

Intervista con Mauro Bacchetti (ottobre 2010)

Intervista con Mauro Bacchetti (ottobre 2010)

Questa intervista con Mauro Bacchetti risale all’ottobre del 2010 ed è relatva all’uscita del disco “Canzoni datate”.

 

CESARE: Stasera sono qui con Mauro Bacchetti. Buonasera, Mauro.

MAURO: Buonasera, buonasera.

CESARE: Mauro Bacchetti di Vestone, se non mi sbaglio…

MAURO: Valsabbino, sì.

CESARE: Hai una storia musicale piuttosto interessante. Ce la puoi raccontare per sommi capi?

MAURO: Ho cominciato a suonare da bambino, poi la passione è andata avanti, diciamo, a una certa età ho cominciato a suonare la fisarmonica, ho preso alcune lezioni, dopo all’epoca dei Beatles si cominciava ad ascoltare i Beatles, ho incontrato la chitarra e dopo un paio di anni di studio di chitarra ho fatto un gruppo con amici della Valsabbia, si chiamavano gli Slots, e andavamo a suonare nei locali della valle, nel Trentino, ed è stato un buon percorso finchè sono giunto al professionismo, l’ho fatto per due-tre anni. Noi abitavamo a Firenze, lì avevamo la sede, poi ho avuto una crisi perché non mi piaceva viaggiare, era pericoloso e ho smesso di fare il professionista e ho cominciato un’altra vita, vari lavori, però la musica è sempre stata dietro l’angolo, e quando ho avuto l’opportunita ho cominciato a fare il primo disco, prima cassetta, primo 45 giri, primo ellepì, poi negli anni sono arrivato al quinto lavoro, ne seguiranno ancora un paio, poi non so cosa faremo.

CESARE: Tra l’altro vedo che sei spesso in contatto con i ragazzi dell’Associazione PalcoGiovani che producono annualmente il volumetto “Goi de cùntala?”, che esce ogni anno verso Natale, a giorni dovrebbe uscire il prossimo. Ci sono dei tuoi pezzi anche su quei dischi.

MAURO: Sì, ho partecipato al primo perché collaboravo con Charlie Cinelli, che stimo molto, è un grande, credo che sia il più grande della provincia. Nel primo “Goi de cùntala?” ho fatto la canzone “Bala putì”, che è una ninna nanna, che mi ha dato molte soddisfazioni, poi negli anni ho partecipato a sette edizioni, poi ho suonato tanti anni con i Malghesetti, con i quali ho partecipato poi ai lavori successivi. Quest’anno non partecipo perché in questo periodo non ci sono, sono qui per caso perché devo andare all’estero.

CESARE: Una delle canzoni più rappresentative del tuo ultimo album “Canzoni datate” è quella dedicata ai Beatles. Mi dicevi che dietro ogni tua canzone c’è una storia ben precisa.

MAURO: Questa sui Beatles è una canzone che ho scritto verso la fine degli anni ’70 e quando andavo per registrare i miei pezzi, i musicisti che lavoravano con me, perché ho sempre avuto comunque la collaborazione di musicisti di valore nelle mie registrazioni, mi dicevano che era un po’ complicata da suonare, ma poi era un po’ difficile registrarla perché ha dei cambi abbastanza strani, però a me è sempre piaciuta, adesso l’ho ripresa e l’ho fatta con calma, l’ho messa nel CD. “Canzoni datate” sono vecchie canzoni che avevo messo da parte, dicevo “un giorno o l’altro le farò” e adesso sono riuscito a farle.

CESARE: Leggevo sulle note interne del disco che quando tu proponevi queste canzoni ai discografici dei tempi, ti rispondevano “suonano vecchie”.

MAURO: Sono “canzoni datate”, ma la musica credo che sia tutta datata.

CESARE: Vedo qui sulle note della biografia che c’è nel tuo sito, www.maurobacchetti.it, che tu hai collaborato con vari musicisti e autori, tra cui Nello Panichi, Luciano Fineschi, Ivan Graziani, Pierangelo Bertoli, Basilio Beltrami. Questi grandissimi artisti, che persone erano?

MAURO: Il Panichi è un poeta e pittore fiorentino, allievo del professor Masini, che ha anche fatto il testo di una canzone che ha vinto Sanremo, “I giorni dell’arcobaleno” di Nicola Di Bari, Luciano Fineschi era il direttore dell’orchestra di “Settevoci”, che aveva fatto la famosa canzone “Donna Rosa”…

CESARE: “Settevoci”, trasmissione presentata da Pippo Baudo…

MAURO: Con lui ho collaborato parecchio quando facevo il professionista, suonavo con un gruppo chiamato “Avanti Cristo”, interessante, abbiamo fatto un po’ di esperienza, e abbiamo collaborato parecchio con questo maestro, che mi ha dato anche grandi indicazioni.

CESARE: Cosa racconti sulla canzone che si chiama “Yusnay”?

MAURO: “Yusnay” è il nome di una ragazza cubana, dell’Avana, che ho conosciuto una sera, l’abbiamo incontrata per strada. Ero con un amico e l’abbiamo invitata a cena perché ci ha fatto tenerezza. Con lei e una sua amica abbiamo mangiato assieme e abbiamo scambiato, io le ho fatto delle domande perché ero curioso di capire come funzionavano le cose lì, lei mi ha raccontato delle cose che mi hanno dato quest’emozione, e poco dopo, nel viaggio di ritorno da Cuba, ho scritto questo pezzo.

CESARE: Cosa succedeva nel ’63?

MAURO: Nel ’63 avevo quindici anni, e lo dice la canzone stessa. “Nel ‘63” è una canzone che fa parte del CD “Amo e mi diverto cantando”, che è del 2003. Parla di ricordi, di impressioni, di mia madre, dei colori, delle sensazioni di quell’età, che poi ho sviluppato negli anni, ed è venuto questo pezzo, un po’ un frammento della storia della mia vita adolescenziale.

CESARE: Tu hai fatto anche parecchie puntate nel mondo della canzone dialettale. Ad esempio, “Trùta blues”.

MAURO: E’ un pezzo molto ironico, il blues è una musica piacevole per chi la esegue, forse un po’ meno piacevole per chi la ascolta perché è ripetitiva. Una sera, durante una cena, si mangiava la trota, con gli amici un po’ di risate ed è venuta fuori questa cosa della trota, del maiale, un linguaggio culinario un po’ ironico.

CESARE: Anche “Lelo rock” è ironico. “Lelo” è anche un’espressione dialettale della nostra zona che significa “stùpit”.

MAURO: Esatto. Comunque è riferita a un personaggio, un giovane degli ani ’60 che conoscevo molto bene, e la storia è quasi veritiera, diciamo. Sono cose che succedevano, sempre ironiche e goliardiche.

CESARE: Tu trovi il dialetto un po’ restrittivo, ti stai forse stancando di cantare in dialetto?

MAURO: Sì, perché credo che sia un po’ marginale. Ho molto rispetto per il dialetto, sono molto legato, secondo me il dialetto toglie le barriere. A creare le barriere è il linguaggio nazionale, il dialetto le toglie, perché collega i paesi uno vicino all’altro, hanno un dialetto simile, quindi si comprendono. Puoi fare il giro del mondo con il dialetto. Però è anche vero che il dialetto è molto limitato musicalmente.

CESARE: Cosa mi dici di “E quella gente”?

MAURO: E’ un po’ il sunto delle speranze della gioventù dei venti e dei trent’anni, è la descrizione di un sogno quasi rivoluzionario nel quale si può credere e sperare.

CESARE: Una delle canzoni che tu avevi proposto per “Goi de cùntata?” si chiama “Genova e la lùna”.

MAURO: “Genova è la lùna” è il racconto di un viaggio di una ragazza di Vestone che, durante una festa, mi ha chiamato e mi ha detto “guarda, tu che scrivi le canzoni, ho avuto un’esperienza che forse ti interessa”, e mi ha raccontato questa storia, che lei è andata a Genova e ha visto una luna bellissima, durante il viaggio di ritorno non l’ha perduta di vista, e se l’è ritrovata a Vestone, quindi “la luna mi ha accompagnato a Vestone”, cioè convinta che la luna di Genova non fosse quella di Vestone. Non è stata capita molto bene su “Goi de cùntala?”, perché si diceva che non era una cosa bresciana.. Io credo invece che era un’espressione bresciana che è un po’ ironica anche questa.

CESARE: Tra l’altro è quello che dicevamo prima, il dialetto dovrebbe abbattere le barriere, non creare steccati. Un altro pezzo che mi è rimasto abbastanza “fissato” è “E mi diverto cantando”, e credo che questo rispecchi in pieno la tua filosofia di musica.

MAURO: Sì, filosofia di musica e anche di vita perché io ho espresso con semplicità un linguaggio normalissimo, e cerco di comunicare i miei sentimenti e le mie aspirazioni. Questo brano piace molto ai bambini.

CESARE: Nel CD “Amo e mi diverto cantando” c’è anche un “50” sulla copertina, segnail cinquantesimo anniversario del tuo incontro con la musica.

MAURO: Esatto, avevo incontrato la musica nel 1953, ho cominciato a suonare l’armonica a tre anni su tavoli delle osterie.

CESARE: Torniamo su “Canzoni datate”, perché c’è questa canzone che si chiama “Ladro di sogni”, che è una storia che mi ha molto interessato.

MAURO: Viene da un momento di riflessione. Probabilmente è stato un momento di depressione, dove mi sembrava di essere entrato in un baratro, su questa canzone ho descritto quello che si prova dopo una chiusura personale. Quando ci sono dei dubbi senza risposta ti rivolgi al buon Gesù.

CESARE: Adesso mi devi raccontare una questione riguardante il vecchio “Blue” Lou Marini.

MAURO: Il grande Lou, l’ho conosciuto l’anno scorso, essendo parente di un mio carissimo amico, Giampiero, come forse saprete lui è originario di Darzo, suo nonno era di Darzo, comune di Storo. Lui ogni tanto ritorna qui, una sera mi ha chiamato l’amico Giampiero, mi ha detto “guarda che questa sera c’è Lou, se vuoi venire siamo sul lago di Ledro a mangiare in compagnia, ci sono anche degli amici che suonano, probabilmente suona anche lui”, io ho portato con me la partitura di questo pezzo che avevo scritto pensando a Chet Baker, il grande trombettista suicidatosi ad Amsterdam, si è buttato dal settimo piano. Chet Baker aveva una forza e un’anima incredibile, mi piaceva molto come interpretava i pezzi. Ho portato la partitura a lui e gli ho chiesto”me la suoneresti tu?”, lui l’ha guardata un attimo e mi ha detto “sì”. Era un sabato sera, la domenica lui è andato a casa di Giampiero dove c’è un piccolo studio e ha registrato il brano. Mi ha chiamato e mi ha detto “Mauro, your music is ready!”. Io l’ho ringraziato e lui, molto felice, ha ringraziato me perché gli è piaciuta la partitura.

CESARE: Su “Canzoni datate” c’è anche “Sì, canterò per noi”, che è un titolo che sa un po’ di inno.

MAURO: E’ una specie di inno ai nostri vent’anni, che poi li nomino spesso questi vent’anni, perché credo di non averli più superati, mi sono fermato lì, cerco di camminare con loro, e alla fine mi sento giovane musicalmente, almeno spero.

CESARE: Chi volesse contattarti può farlo o sul tuo sito personale, www.maurobacchetti.it, su Facebook, dove c’è anche un gruppo.

MAURO: Mi possono contattare in qualsiasi modo, credo che comunque il modo migliore sia di guardare su Google.

CESARE: Comunque ci sono parecchie possibilità. Parliamo adesso della canzone “Cancion de Maritza”.

MAURO: Più o meno è la stessa storia di “Yusnay”. La prima volta che sono andato a Cuba era il 2000, la prima persona che ho conosciuto è stata Maritza, questa ragazza di colore simpaticissima. Ho conosciuto lei, la sua famiglia, povera gente ma molto dignitosa. C’è stato un dibattito tra di noi, perché lei era, come un po’ tutte le cubane, alla ricerca del turista per ottenere qualche minuto di vita occidentale. Questa canzone è un po’ un ritratto suo fatto da me in quei giorni. L’ho scritta anche questa durante il viaggio di ritorno.

Voglio ricordare che sono venuto spesso a suonare in Valle Camonica anche con i Malghesetti, anche l’estate scorsa.

CESARE: Grazie, Mauro e ciao.

MAURO: Grazie anche a te.