Recensione di “Starting over”, ultimo album di Chris Stapleton

Recensione di “Starting over”, ultimo album di Chris Stapleton

Chris Stapleton, cantautore del Kentucky, ha iniziato la sua carriera come autore, poi ha suonato in un paio di band senza incidere nulla. Il suo primo lavoro giunge nel 2015, quando aveva già trentasette anni, “Traveller”. Il suo album d’esordio è davvero bello ed ottiene la giusta attenzione, bello anche il doppio  “From a Room” del 2017. Si era tutti un po’ ansiosi di poter ascoltare il suo terzo disco.

Starting over, dalla copertina minimale, contiene canzoni dalla solita miscela di rock, country e southern music con testi notevoli. Stapleton, bravo chitarrista e vocalist espressivo, si conferma tra gli artisti americani più interessanti.

Go behind Chris Stapleton's creative process making #StartingOver.Watch the exclusive short film on Apple Music now: apple.co/BehindStartingOver

Posted by Chris Stapleton on Friday, January 15, 2021

Alla produzione troviamo il suo amico Dave Cobb che suona pure la chitarra acustica, la moglie Morgane come seconda voce, J.T. Cure al basso, Derek Mixon alla batteria. Poi vi sono alcuni ospiti : Paul Franklin chitarrista di Nashville, Benmont Tench e Mike Campbell, del resto Chris ha suonato nell’album d’esordio dei Dirty Knobs , formazione guidata appunto da Campbell(chi ascolta “Comunque Daniela” su Radio Voce Camuna , li avrà sentiti di certo)

Troviamo tre cover: “Joy of my live” di John Fogerty e due pezzi di Guy Clark “Worry B Gone” e “Old Friends” Un disco che vi consiglio, qualcosa di bello del 2020 c’è . Chris Stapleton “Starting over”

Sanremo 2021: sarà un fiore?

Sanremo 2021: sarà un fiore?

Cusa l’è ches chi? Cusa l’è ches chi? Cusa l’è ches chi? Guida pratica a Sanremo 2021 per ultra cinquantenni.

Anche quest’anno Amadeus è riuscito a raggiungere l’obiettivo di farci sentire vecchi, tanto vecchi, talmente vecchi da cominciare a capire le critiche che i matusa ci rivolgevano chiamando la ‘nostra’ disco music ‘pum pum’ e massacrando il look casual dei ‘nostri’ cantautori.

Non che la situazione sia nuova: Amadeus non ha inventato niente e il passato festivaliero ha regalato annate in cui i concorrenti sembravano usciti dal noto festival di Ariccia (non quello della porchetta: quello degli sconosciuti).

L’edizione 1975 della kermesse vedeva la partecipazione di 30 artisti dei quali solo 5 non erano esordienti e il termine ‘esordiente’ rimase realmente tale anche dopo considerato che scorrendo l’elenco la quasi totalità dei partecipanti è scomparsa dalla circolazione senza lasciare traccia.

La lista però era stata stilata alla bell’e meglio nel contesto di un’organizzazione che, estromessi gli impresari di grido, doveva poggiare sul solo Consiglio Comunale della cittadina, per di più in parte dimissionario. Non meglio andò per le dizioni successive se, fino almeno agli anni ’80, i nomi in gara riportano alla mente quelli di gruppi più o meno sciolti con i quali i solisti avevano avuto collaborazioni.

Tutto sommato il confronto fra l’elenco del 2021 e quelli di queste annate se da un lato ci fa sentire privi di memoria dall’altro ci consola. Resta comunque il fatto che la formula 2021 può far sentire persi i maturi, anche se addetti ai lavori, quindi quattro considerazioni in merito potrebbero risultare utili.

Non si direbbe superata la fase ‘due di tutto’ che consente di equilibrare i generi anche se distribuiti su serate diverse. In questa prospettiva la sportiva contrapposizione degli artefici del singolo ‘Merendine blu’ apre le danze con gli Extraliscio, a metà strada tra balera e sagra e Orietta Berti, erede di Moira Orfei nell’immaginario Drag italiano.

Fuori gara Achille Lauro toccherà ai Maneskin valutare se perpetrare il fascino ambiguo e androgino di chi non ha ancora deciso se stare dalla parte della tradizione o della trasgressione (scherzi a parte, come fanno le ballate loro e Achille oggi non le fa nessuno).

Sempre per la ‘categoria’ gruppi Coma Cose, Lo Stato Sociale e La Rappresentante di Lista ribadiscono tanto la vitalità del settore, quanto che a condizionare la scelta dei nomi delle formazioni non è più la zoofilia che imperò negli anni ’60. Per la serie ‘a Sanremo si canta, bisogna avere la voce’ troviamo il consueto manipolo di affezionati alla riviera: Francesco Renga, Arisa, Malika Ayane e Noemi. Non che gli altri stonino, o, meglio, non che gli altri stonino tutti, ma la definizione più naturale che viene pensando a questi è quella di ‘interpreti’.

Durissimo utilizzare il termine ‘cantautore’, sovente abusato nelle biografie ufficiali. Durissimo perché ai nostri tempi era cantautore un musicista di ispirazione francese, americana, canadese o britannica (a seconda dei periodi) che confezionava testi di di natura poetica, intima o profondamente sociale.

In quest’ottica sarebbe sensato limitare l’uso della definizione ad alcuni artisti di spessore nel cui novero possiamo inserire i festivalieri Max Gazzè, Bugo, Colapesce, Ermal Meta ma anche il già festivaliero Caparezza che per quanto capace di regalare testi pregevoli (si ascolti ‘Non siete Stato voi’ per capire cosa intendo) viene sovente relegato al solo ruolo di rapper. In questa categoria sarà da tenere d’occhio Fulminacci, foss’anche solo per la benedizione lasciata dalla Targa Tenco.

Prenderei più tempo per valutare se la definizione possa essere o meno estesa a Francesca Michielin, Annalisa, Gaia, Gio Evan (che ha all’attivo diverse opere come scrittore). Infine eccoci alla bolgia rap, dove qualunque esperienza fa credito, dove regna la magia che ti permette di cantare anche se sei stonato, di ballare anche se quando lo fai hai l’eleganza di un orango in fuga, quella che meriti massimo rispetto solo perché hai un passato da sfigato che hai vinto perché hai guadagnato un sacco di soldi cosa che oggi ti permette di fare e dire quello che ti pare, perché l’onore è coi soldi che si misura.

L’invettiva non è rivolta nello specifico a Fedez, che l’abbiamo capito tutti che è un piccolo lord sotto mentite spoglie, ma alla categoria in genere, colpevole di non piacermi per nulla e di farmi sentire vecchio (e dire che son cresciuto a Sugarhill Gang e Vanilla Ice).

Qui dentro possiamo metterci grosso modo tutti gli altri, Aiello e Ghemon esclusi, il primo per una questione di genere il secondo anche perché a Radio Voce Camuna ha delle ‘simpatie’ che rendono opportuno il massimo rispetto. Che manca? Manca la grande canzone napoletana… ma con Achille Lauro in promozione con 1920 volete che su 5 serate ci venga risparmiato il duetto con Gigi D’Alessio?

Il Punk da balera degli Extraliscio

Il Punk da balera degli Extraliscio

Capita di leggere sul web espressioni del tipo ‘Etraliscio sdogana a Sanremo la musica da ballo’. In realtà abbiamo a che fare con una sorta di ‘ricorso’ storico in chiave impegnata.

Succede infatti che sin dalla prima edizione la musica del festival, complice il potere del melodico italiano, è stata caratterizzata dalla presenza di ‘ballabili’ che nel giro di poco diventavano classici delle orchestre da balera, con arrangiamenti più o meno raffinati.

Non solo: nel 1974, all’epoca del trionfo del folk in tutte le sue forme, la medesima in cui nelle case ci sbarazzavamo degli splendidi mobili in arte povera per sostituirli con ciofeche di truciolato laminato teck, a calcare le tavole dell’Ariston fu l’Orchestra Casadei reduce dai successi del Festivalbar e in attesa di partecipare a Un Disco Per L’Estate.

Niente di nuovo sotto il sole, quindi, anche considerando che Moreno il Biondo degli Extraliscio è stato caporchestra dei Casadei. Se proprio assistiamo allo ‘sdoganamento’ di Mirco Mariani, già collaboratore di Enrico Rava, Paolo Fresu, Stefano Bollani e Vinicio Capossela.

Extraliscio rappresenta di fatto il miscuglio fra il ‘sentire’ di tradizione e quel suonare colto che, se troppo praticato, rischia di provocare crampi ai polpacci anche alla Carlucci.  L’impressione che si ha ascoltando ‘Punk da balera’ è quella della testa che dopo tante giravolte rimane stordita. Il disco è infatti una bevanda strana in cui gli ingredienti si compensano, si integrano, si alternano, senza mai sciogliersi completamente l’uno nell’altro.

Hai quindi l’impressione a momenti di ascoltare il suono quasi balcanico di certe formazioni folk rock molto amate nei contesti musicali di ispirazione progressista e subito dopo di trovarti spiazzato dentro brani che più liscio di così non si può.

In situazioni del genere a fare la differenza potrebbe essere la modalità di presentazione del prodotto al pubblico: Elio ha saputo far passare come genialate delle mezze monnezze, grazie ad invenzioni di vocabolario o di guardaroba. Metti al centro lo spettacolo e tutti crederanno che ‘La canzone mononota’ sia un pezzo originale e non un tributo ad ‘A’ di Francesco Salvi (manco a fare apposta entrambe presentate a Sanremo).

La recente dipartita degli Elii (che come da tradizione a volte ritornano) lascerebbe intendere che l’alchimia non sempre paga (o funziona, dipende dai punti di vista). Resta il fatto che questo muoversi nella terra di mezzo, questo stare in equilibrio sulla sottile lama di rasoio che separa la semplicità e l’immediatezza pretesa da una parte e l’elaborazione ricercata voluta dall’altra rischia di non arrivare al dunque se non sostenuta da una scrittura popolare e importante. Tale assenza si paga con il semplice che degenera in semplicistico e il ricercato che diventa noioso.

Sarebbe interessante riascoltare gli Extraliscio in un disco di rielaborazione di pezzi da 90, dalla tradizione da balera ai classici della musica italiana in genere, per capire quale sia realmente il potenziale esplosivo della miscela. Per il resto posso dire di aver fatto meno fatica a capire il legame della band con la produttrice del disco (Elisabetta Sgarbi) piuttosto che la correlazione con il punk nel titolo dell’album.    

1920 Achille c’è… e ci fa

1920 Achille c’è… e ci fa

Uscito senza grancasse mediatiche, 1920 di Achille Lauro & The Untouchable Band attende il palco dell’Ariston per stupire. Questa volta ai clamori delle performance si sovrappone una capacità di far musica che avevamo avuto modo di sospettare nei lavori precedenti e che probabilmente deluderà, e non poco, i maniaci dell’usa e getta.

Confermati i tratti di vocalità strascicati ed impastati che costituiscono probabilmente un identificativo irrinunciabile di cui, quanto meno io, farei volentieri volentieri a meno. Ma per il resto il disco è tutto un equilibrio teso a rendere contemporanee e attuali le sonorità anni ’20. Sforzo perfettamente riuscito se il brano più tradizionale, cantato con Gigi D’Alessio, suona come una mezza stonatura in un contesto altrimenti godibile, capace di rendere tollerabile anche il pezzo natalizio di chiusura. Tra i brani più interessanti si segnalano il pezzo di apertura ‘My Funny Valentine’ (per quanto recitativo a strascico) e ‘Piccola Sophie’. Il disco suona maledettamente bene e la scelta di limitarne la durata è azzeccatissima. Nota per lo zoccolo duro degli ascoltatori di Radio Voce Camuna, i fedelissimi alla ‘radio nella radio’ della fascia serale: avrei tanto voluto parlarne male, ma non ce la faccio. E’ un lavoro da ascoltare senza pregiudizi.

Recensione ” La rivoluzione del battito di ciglia” dei Yo Yo Mundi

Recensione ” La rivoluzione del battito di ciglia” dei Yo Yo Mundi

I Yo Yo Mundi, il gruppo storico della canzone d’autore e del rock-folk italiano, sono tornati.

Dal Monferrato. la terra di Luigi Tenco, delle canzoni di Paolo Conte, dei racconti di Pavese.

In attività da più di trent’anni, sono instancabili: concerti, spettacoli teatrali, sonorizzazioni, hanno spesso varcato gli italici confini.

Meraviglioso il precedente album “Evidenti tracce di felicità”; ora con questo nuovo album, uscito nel novembre 2020, “La rivoluzione del battito di ciglia” i Yo Yo Mundi segnano una svolta nel loro stile e nella loro poetica.

La loro musica, fin dagli esordi, era colorata, sghemba e piena di energia, e lo è ancora. D’altra parte, sono selvatici e, come disse una volta di loro Paolo Conte, fanno “musica selvatica” .

I Yo Yo amano stupire e cercano, sempre, di migliorarsi ad ogni nuovo lavoro! Il titolo del loro ultimo album è la sintesi precisa di un vero e proprio manifesto della loro poetica e del loro impegno. Mettere nella stessa frase due concetti opposti, ma complementari.

La parola rivoluzione, così piena di forza e di energia è declinata insieme al battito di ciglia, atto spontaneo e delicato. “Uno sposalizio tra opposti”, si legge sul loro sito ufficiale, che può generare qualcosa di davvero inedito, quella tanto desiderata rivoluzione gentile che finalmente cambierà il mondo nel segno del rispetto e della tutela dell’ambiente, del pianeta, delle differenti culture e dei diritti delle persone e di tutte le specie viventi”. 

“Rivoluzione, cioè un atto potente, energico, collettivo e certamente mosso dall’urgenza di cambiamento insieme al battito di ciglio, che invece è un atto istintivo, spontaneo, naturale. Questo è il doppio fil rouge che unisce tutte le canzoni dell’album”.

In apertura troviamo “Ovunque si nasconda” dedicato, come si scopre ascoltando la canzone, a chi accudisce le piante e gli ideali, agli occhi tiepidi dei cani. “Fosbury” è invece ispirato al saltatore statunitense Dick Fosbury, innovatore nella sua disciplina, il salto in alto.

“VCR”. che sta per “Valle Che Resiste”, è una canzone di lotta per tutte le comunità come quella della Val di Susa; “Spaesamento” sembra descrivere questo momento di pandemia: Nell’album si possono sentire anche ” Il respiro dell’universo” ed ” Il paradiso degli acini d’uva” e poi “Bacio Sospeso”, “Il silenzio che si sente” ed “Umbratile” .

Tutte canzoni da ascoltare.

Una band da sempre sensibile alle tematiche inerenti alla difesa dell’ambiente e dei diritti umani, che ha collaborato attivamente con associazioni quali Emergency, Amnesty International, LAV – Lega Anti Vivisezione , ENPA, Espérance ACTI, Me. Dea Centro Anti Violenza sulle Donne, ANPI, Greenpeace, Slow Food, Antigone (Diritti e Garanzie Sistema Penale) Libera e Musica Contro le Mafie e Associazione Peppino Impastato (gli Yo Yo Mundi sono stati insigniti del Premio Musica e Cultura). 

Che dire… SEMPRE YO YO!!!

Gli Yo Yo Mundi sono:

Paolo Enrico Archetti Maestri alla voce e alla chitarra oltre ad aver firmato tuti i brani dell’album;

Eugenio Merico alla batteria e percussioni;

Andrea Cavalieri al basso elettrico;

Chiara Giacobbe al violino, voce arrangiamenti;

Hanno inoltre partecipato a questa loro ultimo album:

Daniela Tusa alla voce;

Dario Mecca Aleina alle tastiere e percussioni;

Fabio Martino alla fisarmonica;

Fabrizio Barale alla chitarra elettrica;

Simone Lombardo alla cornamusa, flauto, ghironda;

Andrea Calvo al pianoforte;

Martino Severino (Gang) alla voce in un brano.

Stefano Barotti – Il grande temporale

Stefano Barotti – Il grande temporale

Stefano Barotti è nato e vive a Massa, bagna i piedi e conta le onde a Forte dei Marmi. A 45 anni ha dato alle stampe il quarto disco in 17 anni di carriera: “Il grande temporale” è un lavoro prezioso, completo, emozionante.

Con il precedente “Pensieri Verticali”, del 2015, aveva raggiunto la maturità artistica e scritto meravigliose canzoni che sono state tranquillamente ignorate dalle istituzioni musicali di potere.


In questo 2020 torna ad emozionarci con un album ancora più complesso e vario, che lo conferma grande musicista, con un suo stile ed una sua personalità.

“Il grande temporale”, ci porta nel progressive anni settanta.

“Painter Loser” con un ritmo reggae che ci ricorda Bob Marley, è un brano autobiografico: visto che di sola musica non si vive, Barotti oltre a comporre continua a fare l’imbianchino.

“Enzo”, fantastica canzone omaggio al mai dimenticato Enzo Jannacci; “Spatola e spugna”, dove parla di calcio con poesia ma anche di lavoro precario.

“Tra cielo e prato”, invece, ci ricorda del bambino che ognuno di noi si porta dentro di sé e che non dovremmo mai tradire, mentre “Aleppo” ci parla di una madre che protegge il suo piccolo come può dalla guerra.

“Stanotte ho fatto un sogno” è un brano dolcissimo, narra la mancanza di una persona: alla chitarra troviamo Roberto Ortolan, purtroppo scomparso nell’aprile 2020. Questa è stata l’ultima canzone che ha registrato.

Proseguendo nell’ascolto dell’album troviamo anche “Mi ha telefonato Tom Waits”, omaggio ad uno dei massimi cantautori del novecento; “Quando racconterò”, nata durante un viaggio a Berlino e “Marta”, che affronta l’argomento del femminicidio.

Infine, “Tutto nuovo”, il racconto di quando nasce un bambino e di quanto la vita cambi e tutto appaia nuovo.

Un album da avere (come tutti quelli di Stefano Barotti), da ascoltare e riascoltare sempre. Il cantautore toscano non stanca mai. La sua arte, la sua poesia ci accompagnano per tutta la vita!!!

L’album, distribuito da La Stanza Nascosta Records di Salvatore Papotto, è disponibile anche in formato fisico, sia nella versione CD che in vinile. Registrato tra l’Italia e gli Stati Uniti, “Il grande temporale” è estremamente ricco dal punto di vista della produzione e delle sonorità e annovera un cast musicale d’eccezione. 

Tra gli ospiti speciali (dagli Stati Uniti e non solo) – racconta il cantautore – Joe e Marc Pisapia, Jono Manson, Mark Clark e John Egenes. Alla produzione artistica hanno partecipato Fabrizio Sisti (prezioso il suo contributo alle tastiere, al piano, ai sintetizzatori ed all’organo Hammond), Alessio Bertelli, ingegnere del suono, e il batterista Vladimiro Carboni.

Mi piace ricordare anche Marco Giongrandi (chitarra elettrica e banjo), Max De Bernardi (chitarre) e Paolo Ercoli (dobro e mandolino). Due le voci femminili, la bravissima Veronica Sbergia e l’esordiente Laura Bassani. Gli arrangiamenti e la direzione degli archi sono stati curati da Roberto Martinelli.

Hanno preso parte al lavoro anche Roberto Ortolan (recentemente scomparso, N.d. R.), alla voce e alle chitarre, Nico Pistolesi (piano), Davide L’Abbate (chitarre) e Vittorio Alinari (sax soprano e clarinetto basso).  Le linee di basso sono di James Haggerty e Luca Silvestri; al contrabbasso Pietro Martinelli e l’amico Matteo Giannetti. |