E’ da rifare il processo nel corso del quale, in appello, era stato condannato Andrea Pedersoli, 36enne di Darfo Boario Terme. Nel 2009 venne accusato di essere lui alla guida dell’auto, una Volkswagen Polo, che, sulla strada provinciale tra Palazzolo e Cologne, aveva sbandato. A bordo della vettura, sul sedile posteriore, venne rinvenuto il corpo privo di vita di Domenico Maiorano, 45enne di Paratico.

Secondo i giudici gli inquirenti non sono giunti alle conclusioni che, al di là di ogni ragionevole dubbio, inchiodino il camuno alle sue responsabilità, rimandando così gli atti al tribunale di Brescia. 

La Polizia stradale di Iseo aveva trovato soltanto il cadavere nell’abitacolo: nessuna traccia né del conducente né del passeggero, la cui presenza in auto era stata dedotta dal fatto che la vittima fosse seduta dietro. Un paio di giorni dopo, si era presentato in caserma un uomo che aveva dichiarato di essere il passeggero indicando che alla guida c’era Andrea Pedersoli. All’interno dell’abitacolo erano state ritrovate le sue impronte.

Ora però la Cassazione si è soffermata proprio su quel dettaglio dell’inchiesta: “Nella sentenza d’appello – hanno scritto i giudici di Roma – si è affermato che non vi fossero impronte dell’accusatore sul volante dell’auto, ma è stato omesso il particolare che nemmeno le impronte di Pedersoli fossero state rinvenute e si è trascurato di evidenziare l’assenza di riscontri alle modalità di fuoriuscita dall’auto indicate dal teste – che aveva sostenuto di essere uscito dalla portiera anteriore sinistra dopo essere passato in mezzo ai sedili – incompatibili con la posizione del corpo della vittima”

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