“A cosa serve il patrimonio culturale se non c’è dignità per chi lavora?”: è la domanda, diretta e in attesa di risposta, con cui si apre il nuovo comunicato diffuso nei giorni scorsi dall’Unione sindacale di base-Coordinamento Vigilanza, insieme ai lavoratori e lavoratrici dei siti museali della Vallecamonica.
Da anni, è risaputo, è in corso una battaglia da parte degli operatori dipendenti che affiancano il personale del Ministero nel servizio di accoglienza e vigilanza dei tre maggiori siti museali camuni (il Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane, il Museo Nazionale della Preistoria e il Museo Archeologico Nazionale della Vallecamonica).
Operatori dipendenti di imprese private, sottoposti a trattamenti economici irrisori, con paghe che non superano i sei euro lordi l’ora, i cui diritti faticosamente conquistati vengono di fatto azzerati ogni due anni, non appena subentrano nuove imprese aggiudicatarie degli appalti di gestione dei loro contratti.
I lavoratori, che hanno anche fondato il Collettivo 5.37 per tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sulla loro condizione, hanno di recente chiesto un incontro con Rosario Maria Anzalone, nuovo responsabile dal maggio scorso della Direzione Regionale Musei Lombardia, ottenendo un rifiuto in quanto non sussisterebbero “le ragioni di un incontro, che investono la parte datoriale”.
“I rappresentanti del Ministero della Cultura fanno spallucce dinanzi alle ricorrenti richieste d’intervento e indicano le imprese appaltatrici quale unico interlocutore per i lavoratori”, si legge nel comunicato diramato nei giorni scorsi, “ciò avviene nel vano tentativo di diluire la propria responsabilità in merito alle condizioni economiche e contrattuali a cui sono sottoposti gli addetti che, di fatto, lavorano all’interno dei siti pubblici”.
Da quando è stato avviato il percorso di esternalizzazione dei servizi, si sono susseguite nell’appalto cinque imprese, erodendo sempre i diritti di chi nei Musei camuni, lavora con passione e impegno. “Dov’è la responsabilità della stazione appaltante, cosa restituisce al territorio il grande patrimonio culturale italiano, come si può costruire valore con lavoro sottopagato?”: sono alcune delle questioni a cui i lavoratori e lavoratrici cercano risposte.
“Temi importanti”, dicono, “ma che richiedono una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità. Il primo passo è riuscire ad interagire in maniera costruttiva con una Direzione Regionale che, invece, sceglie di barricarsi dietro la burocrazia degli appalti e rimanda al mittente ogni richiesta”.