Anche la sanità camuna è stata (ed è ancora) in prima linea nella battaglia contro il Covid-19. In Vallecamonica, l’ospedale di Esine in breve tempo ha dovuto rimodulare la propria offerta, trasformandosi in una struttura prioritariamente riservata alla cura dei pazienti affetti da Coronavirus e ritrovandosi di fronte ad un nemico sconosciuto.

Gli operatori al lavoro in Valle hanno saputo reggere l’impatto: di questo se ne sono accorti anche i camuni che non hanno fatto mancare il proprio sostegno e medici ed infermieri alle prese con turni estenuanti. “In questi due mesi abbiamo avuto più di 1.100 persone Covid positive che si sono rivolte ai nostri ospedali”, ci ha raccontato Maurizio Galavotti, direttore generale dell’Asst di Vallecamonica, “di queste, circa 700 sono state ricoverate, altre sono state seguite a domicilio perché presentavano forme più lievi. Abbiamo seguito i pazienti anche nella post-dimissione con un sistema ‘camuno’, in collaborazione con i Comuni, la Comunità Montana, il Bim, delle associazioni, dei medici in pensione e di Federfarma. Abbiamo avuto un massimo di circa 256 casi, ovvero circa il 75% di posti letto tra Esine ed Edolo; siamo rimasti solo con la Pediatria e la Ginecologia di Esine e la Medicina di Edolo come reparti non Covid”.

L’intervista a Maurizio Galavotti, direttore generale dell’Asst di Vallecamonica

Da qualche settimana, però, la pressione sugli ospedali di Esine ed Edolo sta calando: “Piano piano la situazione sta migliorando, abbiamo cominciato a dimettere pazienti, riducendone il numero ed aumentando il numero dei pazienti non Covid”, ci dice Galavotti. “La Rianimazione è passata da 4 a 16 posti letto ad Esine. E’ stato un lavoro molto intenso da parte di tutti gli operatori, che ci hanno creduto e che hanno dato con passione la loro opera e la loro arte, a tutti i livelli. Sulla riabilitazione abbiamo iniziato un programma per tutti i pazienti, sia di tipo respiratorio che neuromotorio; abbiamo mantenuto il rapporto con i sindacati ed adesso con loro ci vediamo ogni quindici giorni per informarli e confrontarci sul ritorno pre-Covid. Ora l’ospedale sta facendo le ‘grandi pulizie’ per avere delle aree sicure no-Covid in cui ricoverare i pazienti: abbiamo a questo proposito un’area medica e chirurgica, pian piano apriremo le altre specialità”.

Saprebbe già dire quando l’ospedale di Esine potrà tornare ad essere com’era prima dell’emergenza sanitaria?

“E’ una bella domanda, per come si sta evolvendo adesso la situazione, possiamo dire che il mese di maggio ridurrà questi dati. Bisogna vedere però i numeri della Fase 2 e se questa porterà degli svantaggi oppure, se le persone -consapevolmente come accade in Vallecamonica- porteranno avanti questi meccanismi di difesa contro il virus come le maschere ed il distanziamento. Se sarà così il Covid occuperà una piccola parte dell’ospedale, permettendo ad esso di riprendere il suo ciclo vitale, sia per la parte chirurgica che per quella medica. Stiamo anche riprendendo l’attività ambulatoriale e stiamo lentamente anche dando le date per le nuove visite sia di tipo medico che chirurgico. Per alcune patologie, come il diabete, l’attività è ripresa quasi completamente, per altre non si è mai interrotta: in alcuni casi c’è stato anche un incremento, grazie al percorso no-Covid garantito dall’ospedale e dai professionisti”.

I virologi sono certi che dovremo aspettarci un’ondata di contagi di ritorno, sia essa nelle prossime settimane o in autunno. L’Asst di Vallecamonica si sta preparando per affrontare una nuova eventuale ondata di contagi?

“Sì, tutti gli ospedali lombardi si stanno preparando. Con la direzione generale welfare stiamo monitorando l’evoluzione della situazione. Nel frattempo, ci siamo anche strutturati per alcuni dispositivi: abbiamo già la strumentazione per tornare a sedici posti letto di Rianimazione. In generale, bisognerà anche ripensare la logistica ospedaliera: quest’esperienza ci ha fatto riflettere su alcuni modelli organizzativi e su come implementare alcuni aspetti che sono emersi in questa situazione”.

Questa settimana sono partiti anche i test sierologici: come stanno andando?

“In questo momento hanno aderito 500 persone inviate dall’Ats, che sono i contatti che hanno già avuto parenti o conviventi ammalati di Covid e che quindi sono stati sottoposti al test che va a ricercare gli anticorpi. Se questi vengono trovati, sono mandati a fare i tamponi, che abbiamo cominciato a fare. Noi stiamo facendo circa 80-100 test sierologici al giorno ai nostri operatori, su base volontaria: le adesioni sono più di 180 e penso che aumenteranno. Questa ricerca, che è su tutto il territorio nazionale, ci permetterà di avere dei dati che faranno orientare ulteriormente l’attività di prevenzione”.

A proposito di tamponi, sono stati al centro di un lungo dibattito, legato alla gestione dell’emergenza da parte della Regione Lombardia. Secondo lei è stato fatto il possibile o si poteva fare di più, anche nelle case di riposo?

“Nella notte tra il 20 e 21 febbraio la Lombardia è stata attaccata da un nemico sconosciuto, di cui non conoscevamo le armi, la potenza di fuoco e come difenderci bene. Nel giro di pochissimo tempo abbiamo messo in atto tutta la rete ospedaliera. Questa malattia è tale che tra l’infezione e la manifestazione dei sintomi possono passare anche diversi giorni: in quel periodo, la gente aspettava di rivolgersi al medico, ed arrivava al Pronto Soccorso in una fase più avanzata della malattia, aggravando la situazione.

In più, le informazioni sull’aspetto terapeutico che abbiamo avuto da altri Paesi sono state notevolmente modificate: siamo passati da un approccio di attacco al virus dei Paesi dell’Est ad un attacco a tutti gli effetti collaterali, da quelli infiammatori e polmonari fino a quelli cardiaci, mettendo in atto una terapia che mi sembra più adatta rispetto a quello che diceva la letteratura all’inizio. L’esperienza di Regione Lombardia è stata anche positiva e di aiuto per le altre Regioni che hanno avuto qualche giorno in più per prepararsi.

Sulle case di riposo, quelle della Regione sono soggette all’accreditamento, che è un’autorizzazione specifica della Regione controllata dalle Ats. Per avere l’accreditamento, le Rsa devono rispondere ad alcuni requisiti: tra questi deve sapere risponde a delle malattie infettive. Bisognerà quindi poi fare una valutazione specifica sulle diverse situazioni. Le case di riposo, come gli ospedali, sono state chiuse all’esterno, ma la potenza di fuoco di questo virus credo sia stata superiore rispetto a quella di altri virus recenti, come la Sars, l’Aviaria, l’Ebola, l’Aids… Il Coronavirus è stato il ‘Big One’ delle malattie infettive: con la Regione abbiamo fatto per un mese e mezzo delle videoconferenze quasi quotidiane.

C’è anche l’aspetto dei dispositivi di protezione individuali: noi abbiamo preso le linee dell’Oms ed abbiamo fornito i dispositivi giunti dalla Regione al nostro personale, per tutelarlo. Credo che abbiamo messo in atto tutte le situazioni che si potevano adottare, ma è una circostanza da una parte grave, luttuosa, carica di dolore e problemi economico, ma dall’altra la sanità italiana si è messa in gioco in primo piano ed ha potuto affrontare questa terribile malattia con una grande disponibilità da parte di tutti i professionisti”.

I professionisti sono stati fondamentali, ed in loro sostegno sono arrivati anche i camuni, con la raccolta fondi a favore dell’ospedale di Esine che ha raccolto più di 2,5 milioni di euro…

C’è stato il grande cuore camuno: oltre ai 2,5 milioni di euro sono arrivate una serie di doni agli operatori. Sono arrivate, ad esempio, delle pizze, delle colombe, delle uova pasquali, dei pranzi preparati dai ristoranti, della frutta… Gesti di vicinanza della popolazione verso chi lavorava in ospedale e che ha dato l’anima.

I soldi sono nero su bianco: circa 250mila euro in materiali, come ad esempio due ecografi, ma anche i C-Pap, i respiratori che hanno permesso ai ricoverati di avere una respirazione assistita (e nei nostri ospedali non ce n’è mai stata carenza, tant’è che alcuni li abbiamo dati alla case di riposo che ce li hanno chiesti), abbiamo dotato i nostri ospedali di riserve doppie o triple di ossigeno per i pazienti in assistenza respiratoria. Abbiamo un bilancio a parte di tutto quello che è stato speso per il Covid ed ordinato altro materiale per completare o rinnovare la nostra attrezzatura, nel caso di contagi di ritorno.

Alla fine di tutto sul nostro sito faremo una pubblicazione di come sono stati spesi i soldi che ci sono stati donati. Dicevo un grande cuore camuno: abbiamo ricevuto donazioni importanti dal punto di vista economico, ma ce ne sono state anche da 20 o 50 euro. Mi sa tanto che sono arrivati da gente che, commossa dallo spirito con cui gli operatori si sono dedicati, hanno dato quello che potevano permettersi, o forse anche di più, per aiutare gli ospedali della Vallecamonica e la sanità camuna.

Ci stiamo anche muovendo -lo avevamo già iniziato prima della pandemia- per costituire una Fondazione con l’aiuto di professionisti camuni che permetterà di aiutare gli ospedali della Vallecamonica con modalità ancora più celeri di quelli attuate in questa situazione”.

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