Non per i soldi o per una reazione motivata dall’odio, ma per “gratificare l’ego del gruppo e celebrare adeguatamente la loro coesione”: questa, secondo la Corte d’Assise di Brescia, la motivazione che ha spinto Paola e Silvia Zani e Mirto Milani a compiere l’omicidio di Laura Ziliani, l’ex vigilessa di Temù inizialmente data per scomparsa nel maggio del 2021 proprio dalle due figlie imputate ed il cui corpo fu ritrovato tre mesi dopo.

A dicembre i tre sono stati condannati all’ergastolo in primo grado: nelle 98 pagine di motivazioni della sentenza il presidente della Corte d’Assise spiega la difficoltà di riscontrare in quello che gli inquirenti chiamarono “trio criminale” una figura predominante o altre più manipolabili.

In altre parole, i tre hanno agito di concerto, si legge nelle motivazioni, “concorrendo a comporre, ciascuno per la propria parte, il mosaico del progetto criminoso”. La Corte ha giudicato “cervellotico” il piano di uccisione della donna, ispirato ad alcune serie tv, come ammesso dagli stessi imputati: “l’omicidio in sé considerato”, si legge, “non costituiva ai loro occhi un progetto abbastanza ambizioso ed accattivante per poter celebrare adeguatamente la loro coesione”.

La motivazione cita, infine, anche la madre di Mirto Milani che, sempre secondo la Corte d’Assise di Brescia, sarebbe stata “l’unica persona che ha mostrato un reale interesse per certi versi spasmodico per il patrimonio della defunta”, arrivando anche ad ipotizzare che “il figlio l’abbia messasin da subito a conoscenza dell’omicidio, come parrebbe comprovato nei messaggi inviati dall’imputato dal carcere allo scopo di depistare le indagini”.

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